Sono nato a Pegli, sul mare che divide due terre a me care, Liguria e Sardegna e genti diverse per
cultura e tradizioni ma che si assomigliano. La guerra infuriava e mi ritrovai contadino in erba a Revignano d’Asti, fra altalene e storie narrate nelle stalle dagli
adulti con la Nina compagna di giochi fino a quando la mia buona famiglia mi riportò a Genova tra le case dei signori e le
scuole frequentate dai figli di “papà”.
A Genova scoprii un’umanità di cui ignoravo l’esistenza, che “tirava a campare” e non aveva patrimoni familiari da spendere né lavori prestigiosi.
I dischi di Brassens, una chitarra che presi a strimpellare mi allontanarono dalla mia
esistenza “borghese” con tanto di impiego presso la scuola di mio padre, famiglia e cabina ai Bagni Lido.
Non volevo più essere solo il figlio del prof. De André, e decisi di salire sul palco alla Bussola,
vincendo la mia paura del pubblico. Con i guadagni acquistai uno stazzo in Sardegna e mi scoprii agricoltore. Genova ormai era solo un passaggio di ritorno da Milano,
un imbarco al porto.
Particolare della targa al Porto Antico
La mitica Esteve di Faber
Ho conosciuto la prigione del
Supramonte, la catena arrugginita dei miei sequestratori ma da marinaio feci
ritorno alla mia riva, ai ricordi di un mondo di cui mi innamorai in gioventù e che cantai.
Rimasi lontano dal clamore che celebrava Colombo nel ’92, per chiedere scusa agli Indiani dei torti subiti e scelsi di tornare a Genova, per rimanere,
laggiù nella “casa rossa” al
Porto Antico, da dove nelle giornate limpide di
tramontana vedi la
Corsica e dietro la Sardegna ma mi attendeva, inatteso, un altro
viaggio... e non ho avuto nemmeno il tempo per dirvi “arrivederci” e soprattutto” buona fortuna!”…
Testo di Laura Monferdini